«Ecco un'altra cosa vera. Nelle trincee quotidiane della vita da adulti l'ateismo non esiste. Non venerare è impossibile. Tutti venerano qualcosa. L'unica scelta che abbiamo è che cosa venerare. E un motivo importantissimo per scegliere di venerare un certo dio o una cosa di tipo spirituale che sia Gesù Cristo o Allah, che sia YHWH o la dea madre della religione Wicca, le Quattro Nobili Verità o una serie di principi etici inviolabili è che qualunque altra cosa veneriate vi mangerà vivi. Se venerate il denaro e le cose, se è a loro che attribuite il vero significato della vita, non vi basteranno mai. Non avrete mai la sensazione che vi bastino. È questa la verità. Venerate il vostro corpo, la vostra bellezza e la vostra carica erotica e vi sentirete sempre brutti, e quando compariranno i primi segni del tempo e dell'età, morirete un milione di volte prima che vi sotterrino in via definitiva. Sotto un certo aspetto lo sappiamo già tutti benissimo: è codificato nei miti, nei proverbi, nei cliché, nei luoghi comuni, negli epigrammi, nelle parabole; è la struttura portante di tutte le grandi storie. Il segreto consiste nel dare un ruolo di primo piano alla verità nella consapevolezza quotidiana. Venerate il potere e finirete col sentirvi deboli e spaventati, e vi servirà sempre più potere sugli altri per tenere a bada la paura. Venerate l'intelletto, spacciatevi per persone in gamba, e finirete col sentirvi stupidi, impostori, sempre sul punto di essere smascherati. E così via.
Guardate che l'aspetto insidioso di queste forme di venerazione non è che sono malvagie o peccaminose, è che sono inconsapevoli. Sono modalità predefinite. Sono il genere di venerazione in cui scivolate per gradi, giorno dopo giorno, diventando sempre più selettivi su quello che vedete e sul metro che usate per giudicare senza rendervi nemmeno bene conto di farlo. E il cosiddetto «mondo reale» non vi dissuaderà dall'operare in modalità predefinita, perché il cosiddetto «mondo reale» degli uomini, del denaro e del potere vi accompagna con quel suo piacevole ronzio alimentato dalla paura, dal disprezzo, dalla frustrazione, dalla brama e dalla venerazione dell'io. La cultura odierna ha imbrigliato queste forze in modi che hanno prodotto ricchezza, comodità e libertà personale a iosa. La libertà di essere tutti sovrani dei nostri minuscoli regni formato cranio, soli al centro di tutto il creato. Una libertà non priva di aspetti positivi. Ciò non toglie che esistano svariati generi di libertà, e il genere più prezioso è spesso taciuto nel grande mondo esterno fatto di vittorie, conquiste e ostentazione. Il genere di libertà davvero importante richiede attenzione, consapevolezza, disciplina, impegno e la capacità di tenere davvero agli altri e di sacrificarsi costantemente per loro, in una miriade di piccoli modi che non hanno niente a che vedere col sesso, ogni santo giorno. Questa è la vera libertà. Questo è imparare a pensare. L'alternativa è l'inconsapevolezza, la modalità predefinita, la corsa sfrenata al successo: essere continuamente divorati dalla sensazione di aver avuto e perso qualcosa di infinito.
So che questa roba forse non vi sembrerà divertente, leggera o altamente ispirata come invece dovrebbe essere nella sostanza un discorso per il conferimento delle lauree. Per come la vedo io è la verità sfrondata da un mucchio di cazzate retoriche. Ovvio che potete prenderla come vi pare. Ma vi pregherei di non liquidarlo come uno di quei sermoni che la dottoressa Laura impartisce agitando il dito. Qui la morale, la religione, il dogma o le grandi domande stravaganti sulla vita dopo la morte non c'entrano. La Verità con la V maiuscola riguarda la vita prima della morte. Riguarda il fatto di toccare i trenta, magari i cinquanta, senza il desiderio di spararsi un colpo in testa. Riguarda il valore vero della vera cultura, dove voti e titoli di studio non c'entrano, c'entra solo la consapevolezza pura e semplice: la consapevolezza di ciò che è così reale e essenziale, così nascosto in bella vista sotto gli occhi di tutti da costringerci a ricordare di continuo a noi stessi: «Questa è l'acqua, questa è l'acqua; dietro questi eschimesi c'è molto più di quello che sembra». Farlo, vivere in modo consapevole, adulto, giorno dopo giorno, è di una difficoltà inimmaginabile. E questo dimostra la verità di un altro cliché: la vostra cultura è realmente il lavoro di una vita, e comincia... adesso. Augurarvi buona fortuna sarebbe troppo poco».
David Foster Wallace, Questa è l'acqua, 2009 (Einaudi, trad. G. Granato).
David Foster Wallace, morto suicida nel 2008, pronunciò queste parole nel 2005, durante la cerimonia di laurea al Kenyon College. Non è un discorso motivazionale nel senso comune: non parla di successo, ma di consapevolezza.
Wallace afferma che tutti venerano qualcosa. Non è un’opinione, è una condizione di partenza: non esiste il vuoto, esiste solo la scelta – o l’illusione della scelta – su cosa mettere al centro. La “modalità predefinita” di cui parla non è un errore, è il modo in cui il mondo è progettato: lavorare, consumare, confrontarsi, sentirsi inadeguati, ripetere. E mentre accade, sembra che tutto dipenda dalla volontà individuale.
Il discorso non offre scorciatoie. Parla di attenzione, disciplina, sacrificio. Non sono parole che vendono, non sono slogan da appendere in ufficio. Sono il contrario: richiedono fatica, invisibile e quotidiana. Non promettono un lieto fine, non garantiscono salvezza.
Forse è proprio qui che sta la forza di queste righe: non cercano di rassicurare. Mostrano che la libertà non è glamour, non è gratis, non è immediata. È un lavoro costante, che nessuno applaudirà. E che, a volte, non basta nemmeno per salvarsi.
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