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#023 | La vita, istruzioni per l'uso di Georges Perec

25-08-2025 19:10

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Narrativa, Narrativa,

#023 | La vita, istruzioni per l uso di Georges Perec

Si barricano nei loro millesimi e vorrebbero tanto che non ne uscisse niente, ma per quanto poco ne lascino uscire, è sempre dalle scale ch'esce tutto.

«Sì, tutto potrebbe iniziare così, qui, in questo modo, una maniera un po' pesante e lenta, nel luogo neutro che appartiene a tutti e a nessuno, dove la gente s'incontra quasi senza vedersi, in cui la vita dell'edificio si ripercuote, lontana e regolare. Di quello che succede dietro le pesanti porte degli appartamenti, spesso se non sempre si avvertono solo quegli echi esplosi, quei brani, quei brandelli, quegli schizzi, quegli abbozzi, quegl'incidenti o accidenti che si svolgono in quelle che si chiamano le parti comuni, i piccoli rumori felpati che la passatoia di lana rossa attutisce, gli embrioni di vita comunitaria che sempre si fermano sul pianerottolo. Gli abitanti di uno stesso edificio vivono a pochi centimetri di distanza, separati da un semplice tramezzo, e condividono gli stessi spazi ripetuti di piano in piano, fanno gli stessi gesti nello stesso tempo, aprire il rubinetto, tirare la catena dello sciacquone, accendere la luce, preparare la tavola, qualche decina di esistenze simultanee che si ripetono da un piano all'altro, da un edificio all'altro, da una via all'altra. Si barricano nei loro millesimi – è così che si chiamano infatti – e vorrebbero tanto che non ne uscisse niente, ma per quanto poco ne lascino uscire, il cane al guinzaglio, il bambino che va a prendere il pane, l'espulso o il congelato, è sempre dalle scale ch'esce tutto. Tutto quello che passa infatti passa per le scale, tutto quello che arriva arriva dalle scale, lettere, partecipazioni, i mobili che gli uomini dei traslochi portano o portano via, il dottore chiamato d'urgenza, il viaggiatore che torna da un lungo viaggio. È per questo che le scale restano un luogo anonimo, freddo, quasi ostile. Nelle antiche case, c'erano ancora gradini di pietra, ringhiere di ferro battuto, qualche scultura, delle torciere, una panchina a volte per dar modo alle persone anziane di riposarsi fra un piano e l'altro. Negli edifici moderni, ci sono ascensori con le pareti coperte di graffiti che si vorrebbero osceni e scale dette "di sicurezza", di cemento grezzo, sporche e sonore. In questo edificio, dove c'è un vecchio ascensore quasi perennemente guasto, le scale sono un luogo vetusto, di dubbia pulizia, che si degrada di piano in piano secondo le convenzioni della rispettabilità borghese: passatoia due volte spessa fino al terzo, spessore unico dal terzo in poi, per finire in niente agli ultimi due sotto i tetti.

Sì, inizierà da qui: fra il terzo e il quarto piano di rue Simon-Crubellier, numero 11. Una donna sui quarant'anni sta salendo le scale; indossa un lungo impermeabile di skai e porta in testa una specie di berretto di feltro a pan di zucchero, un po' sul genere secondo noi folletto, diviso a scacchi rossi e grigi. Un borsone di tela bigia, di quelli volgarmente detti "chiava-e-via", le pende dalla spalla destra. Un fazzolettino di batista è annodato intorno a uno degli anelli di metallo cromato che legano la borsa alla tracolla. Su tutta la superficie della borsa si ripetono tre motivi pseudo stampigliati: un grosso orologio a bilanciere, una pagnotta campagnola tagliata al centro, e una specie di recipiente di rame senza manici.

La donna guarda una pianta che tiene nella mano sinistra. È un semplice foglio di carta, le cui grinze ancora visibili testimoniano una piegatura in quattro, fissato per mezzo di un fermaglio a un grosso volume multigrafico: il regolamento di comproprietà riguardante l'appartamento che la donna sta per visitare. Sul foglio in realtà sono state schizzate non una, ma tre piante: la prima, in alto e a destra, permette di localizzare l'edificio, pressappoco a metà di rue Simon-Crubellier che divide obliquamente il quadrilatero formato, nel quartiere de la Plaine Monceau, XVII arrondissement, dalle vie Médéric, Jadin, De Chazelles e Léon Jost; la seconda, in alto e a sinistra, è uno spaccato dell'edificio che indica schematicamente la disposizione degli appartamenti, precisando i cognomi di qualche abitante: signora Nochère, la portinaia; signora de Beaumont, secondo a destra; Bartlebooth, terzo a sinistra; Rémi Rorschash, produttore televisivo, quarto a sinistra; dottor Dinteville, sesto a sinistra, così come l'appartamento vuoto, sesto piano a destra, occupato fino alla morte da Gaspard Winckler, artigiano; la terza pianta, nella metà inferiore del foglio, è quella dell'appartamento di Winckler: tre locali che danno sulla strada, una cucina e uno stanzino da bagno sul cortile, un ripostiglio cieco.

La donna tiene nella mano destra un voluminoso mazzo di chiavi, quelle di tutti gli appartamenti visitati in giornata indubbiamente; parecchie sono attaccate a portachiavi fantasia: una bottiglia in miniatura di Marie Brizard, un tee [il supporto su cui si appoggia la palla, ndt] da golf e una vespa, un pezzo di domino raffigurante un doppio sei, e un gettone di plastica, ottagonale, nel quale è incastonato un fiore di tuberosa.

Gaspard Winckler è morto da quasi due anni. Non aveva figli. Non gli si conoscevano parenti. Bartlebooth incaricò un notaio di rintracciare eventuali eredi. La sua unica sorella, Anne Voltimand, era morta nel 1942. Il nipote, Grégoire Voltimand, era stato ammazzato sul Garigliano nel maggio 1944, all'epoca dello sfondamento della linea Gustav. Al notaio occorsero parecchi mesi per scovare un lontano cugino di Winckler; si chiamava Antoine Rameau e lavorava in una fabbrica di divani modulari. I diritti di successione cui si aggiungevano le spese occasionate dall'accertamento dei successibili, si rivelarono talmente alte che Antoine Rameau dovette vendere tutto all'asta. E già da qualche mese i mobili sono in Sala aste e da qualche settimana l'appartamento è stato rilevato da un'agenzia.

 

La donna che sale le scale non è la direttrice dell'agenzia, ma la sua vice; non si occupa di questioni commerciali, né di relazioni con i clienti, ma esclusivamente di problemi tecnici. Dal punto di vista immobiliare, l'affare è buono, il quartiere valido, la facciata in pietra da taglio, le scale discrete malgrado la decrepitezza dell'ascensore, e la donna è venuta a ispezionare più accuratamente lo stato dei luoghi, a buttar giù una pianta più precisa dei locali con, per esempio, dei tratti più marcati per distinguere le pareti divisorie e dei semicerchi con freccia per indicare in che senso si aprono le porte, prevedere i lavori e preparare un primo preventivo per il rammodernamento: il tramezzo che divide lo stanzino da bagno dal ripostiglio sarà abbattuto, per far posto a un bagno vero con vasca scalinata e water; le mattonelle della cucina verranno sostituite; una caldaia murale a gas cittadino, mista (riscaldamento centrale, acqua calda), sostituirà la vecchia caldaia a carbone; il parquet a pezzi e bocconi delle tre stanze verrà rimosso e rimpiazzato da una copertura di cemento a sua volta coperta di thibaude [tessuto di pelo di vacca, ndt] e moquette.

Delle tre stanzette in cui Gaspard Winckler ha vissuto e lavorato per quasi quarant'anni, non resta molto. Quei pochi mobili, il piccolo banco da lavoro, la sega a due tempi, le minuscole lime, non c'è più niente. Sulla parete di camera sua, di fronte al letto, vicino alla finestra, se n'è andato il quadro quadrato che gli piaceva tanto: figurava un'anticamera nella quale si trovavano tre uomini. Due in piedi, con la finanziera, pallidi e grassi, e sovrastati da cilindri che parevano avvitati sul cranio. Il terzo, anche questo vestito di nero, era seduto accanto alla porta nell'atteggiamento di chi aspetti qualcuno e impegnato a infilarsi un paio di guanti nuovi le cui dita aderivano perfettamente alle sue.

La donna sale le scale. Fra poco, il vecchio appartamento diventerà un grazioso piccolo alloggio, doppio soggiorno + camera e servizi, vista, tranquillità. Gaspard Winckler è morto, ma la lunga vendetta che ha ordito con tanta pazienza, con tanta minuzia, non si è ancora compiuta».

 

Georges Perec, La vita, istruzioni per l'uso, 1978 (Rizzoli, trad. D. Selvatico Estense).

 

Pubblicato nel 1978, La vita, istruzioni per l’uso è il romanzo più ambizioso di Georges Perec, scrittore francese, membro, con Queneau e Calvino, dell’Oulipo e autore di opere sperimentali e profondamente strutturate. Il libro racconta la vita di un condominio parigino al numero 11 di rue Simon-Crubellier, scomponendola in frammenti, dettagli, oggetti, gesti quotidiani.

Perec costruisce un mosaico narrativo in cui ogni appartamento, ogni scala, ogni rumore diventa parte di un sistema complesso e affascinante. Il romanzo non ha una trama lineare: è una mappa, un inventario, un gioco combinatorio.

Il brano scelto è l’inizio del libro. Una donna sale le scale per visitare un appartamento. Intorno a lei, il palazzo respira, conserva tracce, racconta storie.

 

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