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#027 | Pronto soccorso per insicuri cronici di Bärbel Wardetzki

25-08-2025 19:30

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#027 | Pronto soccorso per insicuri cronici di Bärbel Wardetzki

La modalità con cui si definiscono le cause di determinati eventi non variano soltanto da persona a persona, ma anche tra i sessi...

«Secondo Branden, i due elementi essenziali del senso di autostima sono il rispetto per se stessi e l'autoefficacia. Rispetto di se stessi significa dignità e valore personale, un diritto alla vita e alla felicità, la convinzione di poter dare valore ai nostri pensieri, desideri e bisogni. Attraverso il rispetto per noi stessi sviluppiamo un atteggiamento di autoaccettazione.

Il concetto di rispetto per se stessi si basa sulla capacità di osservazione, e quindi sull'attenzione. Questo significa sapersi osservare, prendersi cura di se stessi, trattarsi con riguardo, volersi bene. Esercitarsi a prestare attenzione a se stessi è quindi un mezzo efficace per rafforzare il proprio senso di autostima.

Questo rispetto non si può sviluppare nelle persone che tendono a mortificarsi attraverso messaggi negativi come "Non devi essere così", perché in questo modo esse non fanno altro che dubitare di se stesse, non si sentono in diritto di esistere e tendono ad avere comportamenti autolesionisti. Messaggi come "Non devi essere così" possono nascere quando il bambino si convince che sarebbe stato meglio che non fosse venuto al mondo perché la madre o entrambi i genitori sarebbero stati più felici, non si sarebbero ammalati o sarebbero ancora in vita.

"Mi porterai nella tomba." "La mamma è morta per colpa tua. Se solo tu non fossi mai nato." "Mi sono dovuta sposare a causa tua, altrimenti avrei proseguito gli studi." Con questo genere di messaggi il bambino avverte la propria presenza come un disturbo. Se vengono a mancare delle figure di riferimento stabili nella famiglia, il risultato può essere un danno permanente al proprio senso di autostima. Un modo subdolo per lasciar intendere al bambino che la sua presenza non è gradita è quello di trascurarlo evitando il contatto fisico ed emotivo, nutrirlo in eccesso oppure troppo poco, privarlo di ogni stimolo di crescita, disinteressarsi del suo benessere e privarlo di ogni affetto. Se il bambino sente di non ricevere attenzioni, non sarà in grado di sviluppare il rispetto per se stesso.

Il rispetto per se stessi passa attraverso la percezione di sé, e sta anche alla base della cura per gli altri. Quanto più stabile sarà il nostro senso di autostima, tanto più saremo in grado di trattare gli altri con rispetto, cura, gentilezza e riguardo, perché non percepiremo le persone intorno a noi come una minaccia nei nostri confronti. Se, al contrario, siamo spaventati e ci sentiamo privi di valore, saremo spinti a trattare gli altri con diffidenza, atteggiamento che di conseguenza porta all'aggressività, a sentimenti offensivi e di svalutazione. […]

 

Secondo Branden, l'autoefficacia è il secondo pilastro su cui si basa il nostro senso di autostima. Siamo autoefficaci quando abbiamo la convinzione di essere in grado di affrontare in modo adeguato una determinata situazione. L'autoefficacia è una sensazione fondamentale di forza e competenza e di fiducia nelle proprie possibilità. È importante fermarsi a riflettere, comprendere, imparare e prendere delle decisioni. Questo ci rende capaci di affrontare le sfide che la vita ci presenta. Possedere il senso di autoefficacia significa avere un forte senso di autostima riferito alle nostre capacità di metterci alla prova.

Essere autoefficaci significa, alla luce delle esperienze fatte fin qui, poter fare affidamento sulle proprie capacità e, a partire da questo, sapere che siamo in grado di raggiungere uno scopo prefissato anche superando degli ostacoli e degli impedimenti. In breve: si ha fiducia nell'essenziale fattibilità di una cosa ed è così che è possibile portare a termine un'iniziativa. Si è consapevoli del fatto di poter influire sul corso delle cose e sul mondo che ci circonda, ci si sente quindi in grado di agire in maniera autonoma.

Chi ha fiducia nelle proprie capacità può dimostrare una grande tenacia nello svolgimento di un compito, è poco soggetto ad attacchi di ansia e depressioni e ottiene un più alto rendimento negli studi e nella carriera lavorativa. Le persone autoefficaci sono in grado di affrontare meglio le situazioni stressanti, hanno una maggiore resistenza e godono di un migliore stato di salute. L'autoefficacia punta al successo e rafforza il nostro senso di autostima.

Per diversi anni ho avuto in cura una paziente che era dotata di una grande intelligenza ma che non possedeva alcun senso di autoefficacia. Era cresciuta sballottata tra continui riconoscimenti e svalutazioni. Da una parte veniva lodata per essere la bambina più intelligente della classe, quella che sapeva sempre rispondere meglio di tutte, ma alla quale si era richiesto troppo e troppo presto. Quando si trattava di discutere di testi filosofici con il padre, talvolta superava l'emotività tipica della sua età. Se avesse dimostrato di non essere all'altezza della situazione, si sarebbe sentita dare della stupida e dell'ignorante. Gratificava i suoi genitori con i suoi voti eccellenti, tanto che questi la consideravano un futuro premio Nobel. Tuttavia soffriva di una forte ansia da prestazione, poiché non era in grado di valutare la sua reale competenza e capacità nell'affrontare delle sfide e nel mettersi alla prova. Inoltre non riusciva a fare leva sui suoi precoci successi, fattore che avrebbe potuto attenuare le sue paure di fallire e le sue ansie da prestazione. Le erano mancate persone di riferimento in grado di infonderle autostima e verso le quali avrebbe potuto orientarsi. Sua madre era una donna molto insicura e il padre oscillava tra manie di grandezza e complessi di inferiorità. Si comportava con se stesso nello stesso modo in cui trattava la figlia. Entrambi avevano come riferimento un irraggiungibile ideale di perfezione che quindi generava un costante senso di inadeguatezza.

Esistono molte persone che durante gli anni dello sviluppo hanno subito gravi ferite al proprio senso di autoefficacia. Come nel caso della paziente sopra descritto, queste persone soffrono di stress da prestazione perché pretendono di saper fare qualche cosa senza avere ancora acquisito le competenze necessarie, oppure senza aver avuto la possibilità o il sostegno necessario per imparare a farla. Altre persone non hanno il coraggio di prendere una decisione perché hanno paura di fare la cosa sbagliata oppure perché non si concedono la possibilità di scegliere di fare ciò che veramente vogliono.

Molti invece falliscono anche perché non si mettono mai alla prova, non hanno abbastanza stimoli e voglia di affrontare nuove sfide o sono cresciuti in un ambiente privo di stimoli. Ne derivano un senso di insicurezza, paura e mancanza di fiducia in se stessi accompagnati da un senso di incompetenza, tutto questo indipendentemente dalle reali capacità.

Anche il perfezionismo può essere una conseguenza di insufficienti esperienze con la propria competenza. "Devo essere perfetto" pretendono da se stesse le persone che hanno paura di fallire. Con un comportamento impeccabile compensano la paura del fallimento e il senso di incompetenza. Ma proprio in questo modo pretendono da se stesse qualcosa di irrealizzabile e affossano la loro reale competenza con gli stessi mezzi che servirebbero a rafforzarla. […]

 

Che cosa è il successo, che cosa è l'insuccesso? Crediamo di saperlo, ma la questione non è così semplice. Infatti, a seconda dei motivi per cui supponiamo di essere bravi o meno, valuteremo in modo diverso le nostre prestazioni.

Che cosa dite quando avete superato un esame? "Ho studiato molto ed ero preparato, per questo ho superato l'esame." Oppure: "Ho avuto fortuna, le prove erano così facili". Quanto più alto sarà il nostro senso di autoefficacia, tanto più sapremo attribuire i nostri successi alle nostre competenze e al nostro impegno e viceversa.

Se l'origine del successo viene ricondotta alle proprie capacità e doti, il risultato è un senso di orgoglio e gioia. Se invece viene imputata ad altri fattori, l'effetto autorafforzante del successo sarà minore o addirittura nullo.

In modo esattamente opposto accade per la motivazione dell'insuccesso. Le persone che hanno un basso livello di autoefficacia attribuiscono la causa dell'insuccesso alle loro scarse capacità, le persone che hanno un forte senso di autostima invece alla sfortuna o al fatto di non essersi impegnati abbastanza. Questo influisce di meno sul senso di autostima rispetto alla convinzione che la causa dell'insuccesso dipenda esclusivamente dall'incompetenza. Per di più questa ultima interpretazione è più soggetta al controllo personale e può essere benevola verso se stessi. Contro la sfortuna e il fatto di non essere dotati non è possibile fare niente, ma su quanto impegnarsi invece decisamente sì.

La modalità con cui si definiscono le cause di determinati eventi non variano soltanto da persona a persona, ma anche tra i sessi. I maschi ascrivono i propri successi ai loro sforzi o alla loro competenza, le femmine generalmente li imputano alle circostanze esterne, come per esempio la facilità del compito assegnato. É evidente che diversi schemi mentali portano a un diverso modo di valutare le proprie capacità (e di conseguenza a un diverso livello di autostima).

Le persone che hanno un basso livello di autostima tendono ad attribuire la causa dei propri insuccessi a se stesse, mentre fanno dipendere i loro successi da cause esterne. Il loro senso di incompetenza viene così rafforzato, fomentando ulteriori paure per il futuro e alimentando la sensazione di non farcela nemmeno la volta successiva.

Questa situazione può portare al circolo vizioso sopra descritto.

L'attribuzione delle cause del successo e dell'insuccesso non si orientano verso le circostanze oggettive, ma si basano sulla valutazione individuale delle proprie competenze. Questo accade indipendentemente dalle reali capacità dell'individuo di superare delle sfide.

I successi reali ottenuti non riescono a mutare le convinzioni negative. Infatti quanto più forte è la convinzione del proprio insuccesso, tanto meno i successi vengono percepiti come tali e valutati come prova delle proprie capacità. Il successo esercita un effetto autorafforzante quando viene percepito come un risultato dei propri sforzi e delle proprie competenze. Solo così i risultati positivi potranno rafforzare il senso positivo dell'autostima e la convinzione di essere efficaci e avere successo».

 

Bärbel Wardetzki, Pronto soccorso per insicuri cronici, 2014 (Feltrinelli, trad. I. Bove).

 

Wardetzki riprende Branden e lo porta sul terreno più concreto: l’autostima non è un mantra, è un equilibrio tra due forze. Il rispetto per sé stessi, che nasce dall’attenzione e dall’autoaccettazione, e l’autoefficacia, la fiducia di poter incidere sul mondo. Senza queste basi, ogni vittoria sembra casuale, ogni errore una condanna.

Il testo smonta l’illusione che basti “volerlo davvero”. Mostra come le radici dell’insicurezza affondino in messaggi antichi, in famiglie che chiedono perfezione o negano valore. E ricorda che il successo non è solo risultato, ma interpretazione: se lo attribuiamo alla fortuna, non ci rafforza.

 

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