«Non riuscì mai a comprendere che una capacità di rinuncia e un'autodisciplina di ferro come la sua erano qualcosa di straordinario e non una dote condivisa da tutti. Lui pensava che, se l'aveva un uomo con i suoi handicap e i suoi limiti, doveva averla chiunque. L'unica cosa richiesta era la forza di volontà: come se la forza di volontà crescesse sugli alberi. Il suo incrollabile impegno verso tutti coloro dei quali si sentiva responsabile sembrava costringerlo a reagire a quelle che percepiva come le loro manchevolezze con la stessa visceralità con cui reagiva a quelli che riteneva - non necessariamente a torto - i loro bisogni. E poiché la sua era una personalità perentoria, e poiché sepolta dentro di lui c'era anche una pepita purissima di preistorica ignoranza, non aveva idea di quanto le sue esortazioni potessero essere improduttive, esasperanti e persino, certe volte, crudeli. Ti avrebbe detto che non soltanto puoi portare un cavallo all'abbeveratoio, ma puoi anche costringerlo a bere: basta stargli addosso, hock hock hock, finché comincia a ragionare e lo fa. (Hock: un termine di origine yiddish che in questo contesto significa tormentare, tartassare, martellare di editti, appelli e avvertimenti; in breve, fare con le parole un buco nella testa di qualcuno).
Dopo che lui e Lil, un dicembre, erano andati a West Palm Beach, mio padre scrisse una lettera a mio fratello, riempiendo entrambe le facciate di due fogli di carta da lettere bianca con la sua calligrafia laboriosa e quasi illeggibile.
[…]
Caro Sandy
io credo che ci sono due tipi (tra la gente dico) di Filosofie. La gente che gli importa e quella che non gli importa, la gente che fa e quella che Procrastina e non fa ne aiuta mai.
Ero tornato a casa dall'ufficio e non mi sentivo bene, tu e Phil eravate molto piccoli. La mamma stava preparando la cena. Non mi sono messo a tavola, invece sono andato nel soggiorno. In meno di un'ora è arrivato il dottor Weiss, lo aveva chiamato la mamma. Il quadro era questo. mi ha chiesto cos'avevo che non andava. Glielo detto, avevo una fitta sopra il cuore, dopo la visita mi ha detto che non riusciva a trovare niente di storto. Poi mi ha chiesto quali erano i miei eccessi. Ho risposto che l'unica cosa che potevo immaginare era che fumavo parecchio, Lui mi ha chiesto se me la sentivo di diminuire la quantità da 24 al giorno a tre. Perché non zero?, faccio io, e in una settimana il dolore è sparito, avevo smesso completamente di fumare. Alla mamma è importato, il dottor Weiss ha dato i suoi consigli, io ho ascoltato, ci sono molti consigliatori a questo mondo, e gente che gli importa e che fa, e gente che ascolta, in molti casi si gente salvano delle vite, e ci sono anche quelli che si lasciano troppo andare, quelli che fumano troppo e bevono troppo, che si drogano e che sono dei mangiatori irrefrenabili. In ogni modo, tutte queste circostanze possono far venire malattie, e certe volte anche qualcosa di peggio.
Tu avevi bisogno di una casa. Sono andato subito a procurarti i soldi per comprarla. Perché? perché mi importava. Phil aveva bisogno di un'operazione per la sua Ernia, io l'ho portato dal dott. ed è stato operato. Lo stesso con la mamma dopo che aveva sofferto per 27 anni. Perché? perché mi importava e io sono uno di quelli che le cose le fanno. I suoi genitori le volevano bene? credo di sì, ma io ho sentito il dolore di tutti e due e ho agito, non ho procrastinato. Io parlo con Jon e lo martello, hock hock bock. Uso Cliché di ogni genere, «Come», lo sciocco e il suo denaro fanno presto a separarsi) (Un Soldino risparmiato è un soldino guadagna to) (un giorno ci sarà un vecchio che dipende da te), e quando mi ha chiesto chi, gli dico che sei tu). ecc. non glielo dico una volta sola, continuo hock hock hock, perché?, perché se lo dimentica, come un bevitore irrefrenabile, o un drogato, ecc. Perché continuo cosi, hock hock hock? Mi rendo conto che è una scocciatura, ma se sono persone che mi importano io cerco di curarle, anche se fanno obiezioni o non sanno cos'è la disceplina/discialpina me compreso. Faccio molte battaglie con la mia coscenza, ma lotto contro i pensieri sbagliati. Mi importa della gente a modo mio.
Ti prego di scusare l'ortografia e la calligrafia. Non sono mai stato un bravo scrittore ma ora è peggio. Non ci vedo tanto bene.
Il signor Hock, Nome sbagliato
dovrebbe essere quello che gli importa degli altri
Con affetto
Papà
Continuerò sempre a
fare Hock hock hock e a Importarmi. Sono
fatto così, con le persone che mi importano»
Philip Roth, Patrimonio. Una storia vera, 1991 (Einaudi, trad. V. Mantovani).
Certe voci non si dimenticano. Philip Roth ha scritto romanzi che hanno fatto tremare le fondamenta dell’identità americana, scavando tra le ossessioni, le ipocrisie, le fragilità. Ha raccontato il desiderio e la vergogna (Portnoy), il crollo delle illusioni civili (Pastorale americana), e ha vinto tutto quello che c’era da vincere (tra cui il Pulitzer nel 1998 per Pastorale, da cui è stato tratto l'omonimo film). Ma quando ha scritto Patrimonio, ha messo da parte il sistema e ha parlato del sangue.
Nel brano Roth osserva suo padre con la precisione di un chirurgo e la pazienza di chi ha deciso di capire. Prima lo descrive: un uomo inflessibile, convinto che la volontà sia una moneta universale, che basti volerlo per riuscirci. Poi lascia parlare lui, in una lettera storta, piena di cliché, di errori, di tentativi. E alla fine, senza enfasi, arriva una scusa. Quasi una resa. Un gesto minuscolo, ma molto eloquente.
In queste righe non c’è solo un padre, c’è un metodo. Un modo di guardare, di ascoltare, di restituire. Tradurre l’atteggiamento in pensiero e il pensiero in parola non è solo scrittura: è un esercizio di precisione relazionale. Chi lo padroneggia non osserva il mondo da fuori: lo sta già decifrando.
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