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#011 | Il buio oltre la siepe di Nelle Harper Lee

14-12-2024 00:00

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Narrativa, Narrativa,

#011 | Il buio oltre la siepe di Nelle Harper Lee

I passeri non fanno niente di speciale, ma fa piacere sentirli cinguettare. Non mangiano le sementi dei giardini...

«Atticus si alzò e camminò su e giù per il porticato. Quando ebbe fatta una ispezione completa del pergolato di glicini, ritornò pian piano verso di me.

"Prima di tutto," disse, "voglio insegnarti un semplice trucco, Scout, e se lo imparerai andrai molto più d'accordo con tutti: se vuoi capire una persona, devi cercar di considerare le cose dal suo punto di vista...".

"Come hai detto?...".

"Se vuoi capire una persona, devi provare a metterti nei suoi panni e a riflettere un poco".

 

[...]

 

Atticus era debole: aveva quasi cinquant'anni. Quando Jem e io gli chiedemmo perché fosse così vecchio, rispose che aveva cominciato tardi, e ci parve che questo si riflettesse sulle sue capacità e sulla sua virilità. Era molto più anziano dei genitori dei nostri coetanei, e quando i compagni di scuola dicevano: "Mio padre fa questo, mio padre fa quello," Jem e io non potevamo raccontare nulla del nostro.

Jem adorava il pallone e Atticus non era mai tanto stanco da non poter giocare con lui, ma quando Jem voleva placcarlo, Atticus diceva: "Sono troppo vecchio per queste cose, figliolo".

Nostro padre non faceva niente. Lavorava in ufficio, non in una drogheria. Non guidava l'autocarro della nettezza urbana, non era sceriffo, non lavorava la terra né faceva il meccanico: non faceva nulla per cui si potesse ammirarlo, per un verso o per l'altro.

Oltre a questo, portava gli occhiali. Era quasi cieco dall'occhio sinistro e diceva che gli occhi sinistri erano la maledizione secolare dei Finch. Quando voleva vedere bene una cosa, voltava la testa e guardava con l'occhio destro. Non faceva niente di quello che facevano i padri dei nostri compagni: non andava a caccia, non giocava a poker, non pescava, non beveva né fumava. Stava seduto nel soggiorno e leggeva.

Almeno, visto che era dotato di così scarsi attributi, fosse rimasto discretamente nell'ombra come avremmo desiderato: quell'anno tutta la scuola chiacchierava della sua difesa di Tom Robinson, e non certo in modo lusinghiero. Dopo la mia lite con Cecil Jacobs, che aveva segnato l'inizio della mia politica di codardia, si era sparsa la voce che Scout Finch non faceva più a botte, che il suo papà non glielo permetteva. Questo non era del tutto esatto: non combattevo più in pubblico, per Atticus, ma la famiglia era terreno privato: a partire dai terzi cugini in su avrei combattuto con le unghie e coi denti: Francis Hancock ne sapeva qualcosa.

Quando ci regalò i fucili ad aria compressa, Atticus non ci insegnò a sparare. Fu zio Jack a insegnarci i primi rudimenti, dicendo che ad Atticus le armi non interessavano. Un giorno Atticus disse a Jem: "Preferirei che sparaste ai barattoli in cortile, ma so già che andrete dietro agli uccelli. Sparate finché volete alle ghiandaie, se vi riesce di prenderle, ma ricordatevi che è peccato uccidere un passero".

Era la prima volta che udivo Atticus dire che era peccato fare una data cosa, così andai a informarmi da miss Maudie.

"Tuo padre ha ragione," disse. "I passeri non fanno niente di speciale, ma fa piacere sentirli cinguettare. Non mangiano le sementi dei giardini, non fanno il nido nelle madie, non fanno proprio niente, solo cinguettano. Per questo è peccato uccidere un passero".

 

[…]

 

Atticus fece una pausa e tirò fuori il fazzoletto. Poi si tolse gli occhiali e li pulì. Altra novità assoluta, Atticus sudava: non lo avevamo mai visto sudare, era uno di quegli uomini che non si accalorano mai, e ora il suo volto abbronzato era imperlato di sudore.

"Una cosa ancora, signori, prima di finire. Un giorno Thomas Jefferson disse che tutti gli uomini furono creati uguali, frase che gli yankee e le femminucce politicanti di Washington amano rinfacciarci di continuo. Certa gente, in quest'anno di grazia 1935, ha la tendenza a citare la frase separata dal contesto perché sia valida in tutte le circostanze; e tra le tante assurde applicazioni di essa me ne viene in mente una: da un po’ di tempo, quei signori che son responsabili della pubblica educazione hanno avuto l'idea di mettersi a promuovere ragazzi stupidi e pigri e ragazzi volonterosi, sostenendo, con aria grave, che poiché tutti gli uomini furono creati uguali, i fanciulli lasciati indietro soffrirebbero di un terribile complesso di inferiorità. Noi sappiamo che non tutti gli uomini furono creati uguali, nel senso che molta gente vorrebbe farci credere: sappiamo che vi sono persone più intelligenti di altre, più capaci di altre per natura, uomini che riescono a guadagnare più denaro, donne che fanno dolci migliori, individui dotati di qualità negate invece alla maggioranza degli uomini.

Ma c'è una cosa, nel nostro paese, di fronte alla quale tutti gli uomini furono davvero creati uguali: una istituzione umana che fa di un povero l'eguale di Rockefeller, di uno stupido l'eguale di Einstein, e di un ignorante l'eguale di un rettore di università. Questa istituzione, signori, è il tribunale, la Corte Suprema de gli Stati Uniti come la più umile sede di giudice distrettuale o l'onorevole corte a cui voi prestate oggi la vostra opera. I nostri tribunali hanno i loro difetti, come ogni istituzione umana, ma nel nostro paese, i tribunali sono grandi strumenti di livellamento sociale. Nei nostri tribunali si attua il principio secondo cui tutti gli uomini furono creati uguali.

Non sono tanto idealista da credere fermamente nell'integrità dei nostri tribunali e nel sistema delle giurie popolari: questo, per me, non è un ideale, è una realtà vera e operante. Un tribunale è sano in quanto è sana la giuria, e una giuria è sana in quanto son sani i membri che la compongono. Ho fiducia che voi, signori, riesaminerete senza passioni le testimonianze che avete udite, che giungerete a una unanime decisione e che restituirete l'imputato alla sua famiglia. In nome di Dio, fate il vostro dovere"».

 

Nelle Harper Lee, Il buio oltre la siepe, 1960 (Feltrinelli, trad. A. D'Agostino Schanzer).

 

To Kill a Mockingbird, titolo originale di Il buio oltre la siepe, è la metafora di Harper Lee che si è persa nella traduzione italiana: il passero (mockingbird è tradotto come merlo in altre versioni) rappresenta l’innocenza e la purezza, creatura che non arreca danno e porta solo bellezza. Ucciderlo è un peccato, perché significa distruggere ciò che è innocente. Nel romanzo, questo simbolo si lega a Tom Robinson, l’uomo di colore accusato ingiustamente di aver violentato una ragazza bianca, che in realtà era vittima di abusi da parte del padre. Il titolo italiano, Il buio oltre la siepe, perde il riferimento diretto, ma evoca la paura dell’ignoto e del diverso, un altro tema centrale della storia: il confine tra ciò che conosciamo e ciò che ci spaventa.

Il primo brano mostra Atticus Finch, avvocato difensore di Robinson, che insegna alla figlia Scout un principio universale: “Se vuoi capire una persona, devi provare a metterti nei suoi panni”. È un invito alla comprensione e alla sospensione del giudizio, che diventa un antidoto contro il pregiudizio e la superficialità. In un contesto segnato dal razzismo e dalle rigide gerarchie sociali, questa frase assume un valore rivoluzionario: non basta conoscere i fatti, occorre comprendere le persone.

Infine, il terzo brano è la conclusione dell’arringa di Atticus in tribunale. Qui il padre, che nel corso del libro appare come un uomo vecchio e stanco, rivela tutta la sua forza morale: afferma che l’unico luogo dove tutti gli uomini sono davvero uguali è il tribunale. Ma la tensione tra ideale e realtà è evidente: la giustizia è affidata alla coscienza dei giurati, e non sempre vince. Questo contrasto richiama la vicenda di Rubin “Hurricane” Carter, pugile afroamericano ingiustamente condannato all’ergastolo negli anni ’60, che ha ispirato Bob Dylan (Hurricane, 1976) e il regista canadese Norman Jewinson (Hurricane, 1999). Come nel processo a Tom Robinson, anche per Carter il tribunale, che dovrebbe essere il luogo dell’uguaglianza, diventa teatro di discriminazione.

Il romanzo di Harper Lee è stato portato sullo schermo nel 1962 con Gregory Peck, che vinse l’Oscar per il ruolo di Atticus Finch.

 

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