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#007 | L'amica genale di Elena Ferrante

16-11-2024 09:00

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#007 | L amica genale di Elena Ferrante

La biblioteca per lei era una grande risorsa. Chiacchiera dietro chiacchiera, mi mostrò fieramente tutte le tessere che aveva...

«In tutto il rione fiorivano iniziative. Alla merceria, dove Carmela Peluso aveva cominciato da poco a lavorare da commessa, di punto in bianco s'era associata una giovane sarta e il negozio s'era ampliato, puntava a trasformarsi in un'ambiziosa sartoria per signore. L'officina dove lavorava il figlio di Melina, Antonio, grazie al figlio del vecchio proprietario, Gentile Gorresio, stava cercando di diventare una fabbrichetta di ciclomotori. Tutto insomma tremolava, si inarcava come per cambiare i connotati, non farsi riconoscere negli odi accumulati, nelle tensioni, nelle brutture, e mostrare invece una faccia nuova. Mentre io e Lila studiavamo latino ai giardinetti, anche il puro e semplice spazio che avevamo intorno, la fontanella, il cespuglio, una buca di lato alla strada, cambiò. C'era un odore costante di pece, scoppiettava la macchina fumante col rullo compressore che avanzava lento sopra la stesa, lavoratori a torso nudo o in canottiera asfaltavano le strade e lo stradone. Si modificarono anche i colori. Il fratello grande di Carmela, Pasquale, fu preso per andare a tagliare le piante a ridosso della ferrovia. Quante ne tagliò, sentimmo il rumore dell'annientamento per giorni: le piante fremevano, emanavano un odore di legno fresco e verdura, fendevano l'aria, urtavano la terra dopo un lungo fruscio che sembrava un sospiro, e lui e altri segavano, spaccavano, estirpavano radici che emanavano un odore di sotterraneo. La macchia verde svani e al suo posto comparve una spianata giallastra. Pasquale aveva trovato quel lavoro grazie a un colpo di fortuna. Qualche tempo prima un amico gli aveva detto che era venuta gente al bar Solara in cerca di ragazzi che andassero a tagliare di notte gli alberi di una piazza del centro di Napoli. Lui - anche se Silvio Solara e i suoi figli non gli piacevano, era in quel bar che suo padre s'era rovinato - poiché doveva mantenere la famiglia c'era andato. Era tornato stanchissimo, all'alba, le narici piene dell'odore del legno vivo, delle foglie martoriate e del mare. Poi da cosa nasce cosa, era stato chiamato ancora per lavori di quel genere. E ora stava nel cantiere a ridosso della ferrovia e lo vedevamo a volte arrampicato sulle impalcature degli edifici nuovi che levavano pilastri piano dietro piano, o col cappello fatto di giornale, sotto il sole, a mangiare il pane con la salsiccia e i friarielli durante la pausa del pranzo.

 

Lila si arrabbiava se guardavo Pasquale e mi distraevo. Fu chiaro presto, con mia grande meraviglia, che sapeva già molto latino. Le declinazioni, per esempio, le conosceva tutte, e anche i verbi. Le domandai cautamente come mai e lei, col suo piglio cattivo di ragazzina che non vuole perdere tempo, ammise che già quando ero andata in prima media aveva preso una grammatica in prestito alla biblioteca circolante, quella gestita dal maestro Ferraro, e se l'era studiata per curiosità. La biblioteca per lei era una grande risorsa. Chiacchiera dietro chiacchiera, mi mostrò fieramente tutte le tessere che aveva, quattro: una sua, una intestata a Rino, una a suo padre e una a sua madre. Con ciascuna prendeva un libro in prestito, così da averne quattro tutti insieme. Li divorava e la domenica successiva li riportava e ne prendeva altri quattro.

 

Non le chiesi mai che libri avesse letto e che libri leggesse, non ci fu tempo, dovevamo studiare. Mi interrogava e s'infuriava se non sapevo. Una volta mi diede uno schiaffo su un braccio, forte, con le sue mani lunghe e magre, e non mi chiese scusa, anzi disse che se sbagliavo ancora mi avrebbe picchiato di nuovo e più forte. Era incantata dal vocabolario di latino, così grosso, tante e tante pagine, pesante, non ne aveva mai visto uno. Vi cercava continuamente parole, non solo quelle presenti negli esercizi, ma anche tutte quelle che le venivano in mente. Assegnava i compiti col tono che aveva appreso dalla nostra maestra Oliviero. M'imponeva di tradurre trenta frasi al giorno, venti dal latino in italiano e dieci dall'italiano in latino. Le traduceva anche lei, molto più velocemente di me. Alla fine dell'estate, quando l'esame era vicino, dopo aver osservato scettica come io cercavo le parole che non conoscevo sul vocabolario, nello stesso ordine secondo cui le trovavo disposte nella frase da tradurre, e mi appuntavo i significati principali, e solo allora mi sforzavo di capire il senso, disse cautamente:

«T'ha detto la professoressa di fare così?».

La professoressa non diceva mai niente, assegnava solo gli esercizi. Ero io che mi regolavo a quel modo.

Tacque per un po', quindi mi consigliò:

«Leggiti prima la frase in latino, poi va' a vedere dov'è il verbo. A seconda della persona del verbo capisci qual è il soggetto. Una volta che hai il soggetto ti cerchi i complementi: il complemento oggetto se il verbo è transitivo, o se no altri complementi. Prova cosi».

Provai. Tradurre all'improvviso mi sembrò facile. A settembre andai all'esame, feci lo scritto senza nemmeno un errore e all'orale seppi rispondere a tutte le domande.

«Chi ti ha fatto lezione?» chiese la professoressa, un po' accigliata.

«Una mia amica».

«Universitaria?».

Non sapevo cosa significasse. Risposi sì».

 

Elena Ferrante, L’amica geniale, 2011 (Edizioni E/O).

 

L’improvvisazione può funzionare una volta, ma non è una strategia. Il metodo è quello che ti permette di non sprecare energie, di capire da dove partire e come arrivare al risultato. Non è materia da accademici: è la differenza tra chi raffazzona e chi costruisce qualcosa che dura.

Avere un metodo non significa essere rigidi: significa darsi una struttura che ti lascia spazio per crescere. È come avere una mappa: si può cambiare strada se serve, sapendo sempre dove si va. Significa sapere sia il cosa sia il come. Che stia studiando, cercando lavoro, lanciando un progetto o cambiando vita, il metodo è quello che ti fa andare avanti quando l’entusiasmo iniziale svanisce.

 

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