«Una decina di giorni fa La Stampa ha riaperto la discussione sul nozionismo, che pare ridiventato di moda. Certamente la contestazione sessantottesca, e le varie riforme o aggiustamenti empirici dell'insegnamento avevano cercato di eliminare ogni forma di apprendimento basata sullo studio di nozioni pure e semplici, e "nozionismo" era diventata una brutta parola. Siccome immagino che, almeno nelle scuole, la piccola polemica provocherà un dibattito, vorrei fare alcune distinzioni. Anzitutto distinguiamo nozioni da nozionismo. Di qualsiasi cosa una persona si occupi ha bisogno di possedere alcune nozioni ed è bene, leggendo che c'è stato uno sbarco in Somalia, avere una minima idea di dove si trovi questo paese.
Ma quanto deve sapere sulla storia della Somalia una persona che si consideri colta? Essere colti non significa ricordare tutte le nozioni, ma sapere dove andarle a cercare. Supponete di sapere pochissimo su Gioacchino Murat, di essere improvvisamente eletto assessore comunale a Pizzo Calabro e vi dicono alle undici di mattina che alle due si deve discutere in consiglio su come organizzare una commemorazione di quel personaggio; dovreste essere in grado, nel giro di tre ore, di reperire le informazioni che vi permetteranno di sostenere la discussione in modo dignitoso. Essere colti significa sapere che, se non avete sottomano un'enciclopedia, le nozioni su Murat vanno cercate sul libro di storia e non su quello di filosofia, e nel terzo, non nel primo volume.
È talora la mancanza di questo quadro mentale che distingue l'autodidatta dalla persona colta: l'autodidatta può sapere tutto su Zanzibar ma niente sulla Somalia, e ignorare che si trovano sulla stessa costa orientale dell'Africa. La persona colta può sapere poco di entrambi, ma sa che guardando l'atlante deve cercare sulla destra e non sulla sinistra della carta.
Per questo fanno male certi riformatori americani dell'educazione, che vorrebbero che i neri d'America studiassero all'università solo la storia dell'antico impero del Mali e non Platone. Siamo culturalmente handicappati noi occidentali, certo, che non sappiamo nulla sull'impero del Mali, ma resterebbe mentalmente handicappato un afroamericano che non sapesse collocare la storia del Mali rispetto a quella dell'Europa.
Aver nozioni significa essere ricchi di riferimenti utili. Credo che sia bene che un ragazzo abbia una vaga idea di dove si trova Zanzibar, anche se nella vita gli accadrà raramente di dover esibire questa nozione. Queste nozioni si acquisiscono senza sforzo, basta avere un poco di curiosità e buona memoria. E la memoria si tiene in allenamento anche mandando a mente una ottava ariostesca ogni giorno, così come tutti prima della doccia, anche in età avanzata, dovrebbero fare alcune flessioni.
C'è un gusto nozionistico, che definirei ginnastico, che non è male coltivare. Basta sapere che vale quello che vale. È divertente, almeno per me, trovarmi a cena con amici di pari senso sportivo e sfidarli, che so, sui Tre moschettieri. In che via abitava Athos? E Aramis? E perché Dumas si è sbagliato nell'indicare la via dove abitava Aramis? Provate, e per piacere non scrivetemelo, perché lo so già. Ma va bene anche se vi sfidate sui terzini dell'Inter nel campionato dell'anno tale.
Da questo senso sportivo del nozionismo nasce la sua accezione circense: il campione di quiz esibisce il suo nozionismo come il leone esibisce al circo la sua destrezza. Niente di male a seguire con divertimento un programma di quiz, anche se sappiamo che l'incontro è truccato. Badate, non dico che il concorrente riceva la dritta poche ore prima (come era accaduto in America con lo scandalo van Doren), dico solo che qualsiasi organizzatore di quiz ha controllato il sapere del candidato, sa più o meno quali sono le sue fonti e pertanto è facile favorire un candidato popolare e mettere alle corde un candidato noioso.
Si deve evitare di identificare il nozionismo con la cultura, ma la persona colta deve avere una certa propensione al gusto nozionistico, per ragioni di buona salute mentale. E infine si dovrebbe essere capaci di distinguere tra nozione e conoscenza, ma non è una cosa facile. Per un medico sapere quando Jean-Jacques Rousseau ha scritto il suo saggio sulle origini del linguaggio è solo una nozione, e gli basta sapere in che scorcio di secolo Rousseau ha vissuto e perché è così importante anche per noi. Ma per uno studioso della filosofia del Settecento il problema è fondamentale, perché c'è un dibattito sul decennio in cui questo libro è stato scritto, e la data non è più una nozione, bensì un dato essenziale per capire il pensiero roussoviano».
Umberto Eco, Nozionismo e nozioni, 1992 (in La bustina di Minerva, 2020, La nave di Teseo).
Nell’articolo Nozionismo e nozioni, tratto dalla raccolta di articoli di Eco pubblicati su l’Espresso nella rubrica La Bustina di Minerva a partire dal 1985, l’autore riflette sulla differenza tra accumulo di nozioni e vera cultura. Essere colti non significa ricordare tutto, ma sapere dove cercare le informazioni e come collegarle in un quadro coerente. Le nozioni sono strumenti, non fini: servono a orientarsi, a costruire relazioni tra concetti, a evitare l’isolamento di conoscenze frammentarie. Eco invita a non demonizzare il “gusto nozionistico”, purché non venga confuso con la conoscenza critica, che richiede contesto, gerarchia e capacità di interpretazione.
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