Ne Il cigno nero, Taleb affronta il tema dell’“arroganza epistemica” e del cosiddetto problema degli esperti. L’autore distingue tra ambiti in cui la competenza è verificabile – come la chirurgia o la fisica – e campi dominati dall’incertezza, come la finanza o le previsioni economiche, dove le performance degli esperti non superano quelle di modelli semplici o persino del caso. Taleb sottolinea che le professioni che si occupano di fenomeni dinamici e futuri sono più esposte all’errore, perché basano le loro analisi su dati passati non ripetibili. In questi contesti, la sicurezza ostentata dagli esperti diventa pericolosa, poiché maschera l’imprevedibilità e alimenta l’illusione di controllo.
Nel suo classico Le armi della persuasione, Cialdini riflette sull’accelerazione della conoscenza e sull’impatto che questa ha sulla nostra capacità di decidere. In un mondo in cui le informazioni raddoppiano in pochi anni e la tecnologia moltiplica le possibilità di accesso ai dati, la mente umana si trova in una condizione di crescente inadeguatezza. Di fronte a un sovraccarico di stimoli e scelte, non possiamo più permetterci analisi complete e razionali: siamo costretti a ricorrere a scorciatoie cognitive, semplificando la complessità per sopravvivere alla velocità del cambiamento.
Buona lettura.
Nassim Nicholas Taleb, Il cigno nero, 2007 (ilSaggiatore, E. Nifosi).
«Finora non abbiamo messo in dubbio l'autorità dei professionisti coinvolti, quanto piuttosto la loro capacità di valutare i limiti della loro conoscenza. L'arroganza epistemica non esclude le competenze. Un idraulico ne saprà quasi sempre più di un saggista testardo e di un trader matematico in fatto di idraulica, un chirurgo di ernie ne saprà raramente meno di una danzatrice del ventre in fatto di ernie. Tuttavia le loro probabilità saranno identiche, ed è questa la cosa preoccupante: su questo potreste saperne molto più voi dell'esperto. Contrariamente a quello che vi dicono tutti, è ragionevole dubitare del tasso di errore della procedura dell'esperto. In tal modo non mettete in dubbio la sua procedura, ma solo la sua sicurezza di sé. […]
Separerò i due casi nel seguente modo. Il caso lieve: arroganza in presenza di (una certa) competenza; il caso grave: arroganza mista a incompetenza (teste vuote in giacca e cravatta). Esistono alcune professioni in cui voi ne sapete più degli esperti, che però pagate per le loro opinioni (dovrebbero essere loro a pagare voi perché li ascoltiate). Quali sono?
C'è una letteratura molto ricca sul cosiddetto «problema degli esperti», in cui si trovano test empirici effettuati su esperti per verificare le loro prestazioni. Ma all'inizio ci si sente disorientati. Da un lato, un gruppo di ricercatori acchiappa-esperti come Paul Meehl e Robyn Dawes ci mostrano che l'«esperto» si avvicina molto all'imbroglione, poiché non offre prestazioni migliori di quelle di un computer che utilizza una sola metrica, e inoltre si fa accecare dalle intuizioni […]. Dall'altro lato vi è un'abbondante letteratura che dimostra come molte persone riescano a battere i computer grazie alle loro intuizioni. Qual è l'ipotesi corretta?
Deve pur esserci qualche disciplina che ha veri esperti. Ponetevi la seguente domanda: preferireste che la vostra imminente operazione al cervello venga eseguita da un giornalista scientifico o da un medico specializzato in chirurgia cerebrale? D'altra parte, preferireste ascoltare le previsioni economiche di una persona che ha conseguito un dottorato in finanza presso qualche istituzione «importante» come la Wharton School o di un giornalista economico? Mentre la risposta alla prima domanda è empiricamente ovvia, la risposta alla seconda non lo è. Possiamo già notare la differenza tra know-how e know-what. I greci distinguevano tra technē ed epistēmē. La scuola di medicina empirica di Menodoto di Nicomedia ed Eraclide di Taranto esigeva che i suoi praticanti si avvicinassero alla technē («arte») e si tenessero lontani dall'epistēmē («conoscenza», «scienza»).
Lo psicologo James Shanteau si è assunto il compito di scoprire quali discipline hanno esperti e quali no. Si noti qui il problema della conferma: se si vuole dimostrare che non ci sono esperti, si può trovare una professione in cui gli esperti sono inutili. E si può anche dimostrare il contrario. Ma c'è una regolarità: esistono professioni in cui gli esperti hanno un ruolo e altre in cui non c'è prova di competenze. Quali sono le prime e quali le seconde?
Esperti che tendono a essere esperti: intenditori di bestiame, astronomi, piloti collaudatori, agronomi, maestri di scacchi, fisici, matematici (quando si occupano di problemi matematici, non empirici), ragionieri, ispettori delle derrate alimentari specializzati in cereali, specialisti nella lettura di foto satellitari, analisti assicurativi (che si occupano di statistiche in stile curva a campana).
Esperti che tendono a essere non esperti: agenti di cambio, psicologi clinici, psichiatri, responsabili dell'ammissione nelle università, giudici, consiglieri, selezionatori del personale, analisti di intelligence (nonostante i costi, i risultati della Cia sono pietosi). Aggiungerei ciò che ho ottenuto esaminando la letteratura: economisti, addetti alle previsioni finanziarie, professori di finanza, studiosi di politica, «esperti di rischio», funzionari della Banca dei regolamenti internazionali, nobili membri dell'Associazione internazionale degli ingegneri finanziari, consulenti finanziari.
È semplice: le cose che si muovono, e quindi richiedono conoscenza, di solito non hanno esperti, mentre quelle che non si muovono sembrano avere esperti. In altre parole, le professioni che hanno a che fare con il futuro e basano i loro studi sul passato non ripetibile hanno il problema degli esperti (a eccezione della meteorologia e delle attività che implicano processi fisici a breve termine, non processi socioeconomici). Non intendo dire che chiunque si occupi del futuro non fornisca alcuna informazione preziosa (come ho osservato prima, i giornali riescono a prevedere piuttosto bene gli orari di apertura dei cinema), ma che coloro che non forniscono alcun valore aggiunto tangibile generalmente hanno a che fare con il futuro.
Per dirla in altro modo, le cose che si muovono sono spesso inclini ai Cigni neri. Gli esperti sono persone concentrate su ambiti ristretti che hanno bisogno di «scavare tunnel», e nelle situazioni in cui scavare tunnel è sicuro perché i Cigni neri non sono rilevanti se la cavano bene.
Robert Trivers, psicologo evoluzionista e uomo dalle intuizioni superiori alla norma, offre un'altra risposta (è diventato uno dei pensatori evoluzionisti più autorevoli dai tempi di Darwin grazie a idee che ha sviluppato nel periodo in cui cercava di studiare legge). La sua risposta è legata all'autoinganno. In campi in cui abbiamo tradizioni antiche, come il saccheggio, siamo molto bravi a prevedere gli esiti valutando i rapporti di forza. Gli esseri umani e gli scimpanzé riescono immediatamente a capire chi ha il coltello dalla parte del manico ed effettuano un'analisi di costi e benefici per capire se è il caso di attaccare per appropriarsi di femmine e cose. Una volta iniziato il saccheggio, si entra in una forma mentis ingannevole che porta a ignorare le informazioni aggiuntive (è meglio non esitare durante la battaglia). D'altra parte, a differenza dei saccheggi, le guerre su larga scala non fanno parte del patrimonio umano, sono nuove per noi, quindi tendiamo a valutare in maniera scorretta la loro durata e a sopravvalutare la nostra forza relativa. Ripensate alla sottovalutazione della durata della guerra del Libano. Coloro che avevano combattuto nella Grande Guerra pensavano che sarebbe stata una passeggiata. La stessa cosa accadde con la guerra del Vietnam e sta accadendo oggi con la guerra in Iraq e con quasi tutti i conflitti moderni.
Non si può ignorare l'autoinganno. Il problema degli esperti è che non sanno ciò che ignorano. La mancanza di conoscenza si accompagna a un'illusione riguardante la qualità della conoscenza stessa: lo stesso processo che ci fa sapere meno ci rende soddisfatti di ciò che sappiamo».
Acquista il libro su Amazon. | Torna al Blog di DW. | Home. | Manifesto. | Disclaimer sulle citazioni.
Robert B. Cialdini, Le armi della persuasione, 1984 (Giunti, trad. G. Noferi).
«Il filosofo inglese John Stuart Mill è morto più di un secolo fa. L'anno della sua morte, il 1873, è degno di essere ricordato perché Stuart Mill ha fama di essere stato l'ultimo essere umano a conoscere tutto quello che c'era da conoscere nel mondo a lui contemporaneo. Oggi l'idea che uno di noi possa essere al corrente di tutti i fatti noti è solo risibile. Dopo ere di lenta accumulazione, la conoscenza umana è entrata, con effetto a valanga, in un'epoca di crescita esponenziale, rapidissima e incontenibile. Oggi ci troviamo a vivere in un mondo dove la maggior parte dell'informazione risale a meno di quindici anni prima. In certi campi della scienza, per non parlar d'altro (per esempio, la fisica), si dice che le conoscenze si raddoppino nell'arco di otto anni. Né l'esplosione dell'informazione scientifica è circoscritta a settori esclusivi come la chimica molecolare o la fisica quantistica, ma si estende al sapere quotidiano, in settori dove ci sforziamo in tutti i modi di mantenerci aggiornati, dalla salute allo sviluppo del bambino, all'alimentazione. Quel che più conta, questa rapida crescita con ogni probabilità è destinata a continuare, dal momento che il 90% degli scienziati che siano mai vissuti è attivo ai nostri giorni.
A parte il progresso fulmineo della scienza, le cose vanno cambiando rapidamente anche molto più vicino a casa. Nel suo libro Future Shock, Alvin Toffler è stato uno dei primi a documentare l'accelerazione senza precedenti della moderna vita quotidiana: viaggiamo di più e più veloci, cambiamo residenza più spesso, in case che si costruiscono e si demoliscono più presto, veniamo a contatto con più persone e le relazioni sono più brevi, al supermercato e nei magazzini ci troviamo di fronte a un ventaglio di scelte che erano impensabili un anno fa e forse saranno già obsolete fra un anno. Novità, transitorietà, varietà e accelerazione sono universalmente riconosciute come caratteri distintivi dell'esistenza nel mondo civilizzato.
Questa valanga d'informazioni e di scelte è resa possibile dal fiorire del progresso tecnologico. In prima fila ci sono gli sviluppi nella capacità di raccogliere, immagazzinare, ritrovare e comunicare le informazioni. Dapprima, i frutti di questi progressi erano limitati alle grosse organizzazioni, pubbliche o private. Per esempio, parlando nella sua qualità di presidente della Citicorp, un personaggio come Walter Wriston poteva dire della sua azienda: «Abbiamo raccolto insieme una tale base di dati su scala mondiale, che è in grado di informarci su quasi ogni cosa e persona al mondo, immediatamente». Ma oggi, con gli ulteriori sviluppi nella tecnologia delle telecomunicazioni e degli elaboratori, l'accesso a quantità così stupefacenti d'informazioni comincia ad essere a portata dei singoli. I sistemi televisivi via cavo e via satellite sono la strada che può portare questa informazione a casa di ciascuno.
L'altra strada è il personal computer. Nel 1972 Norman Macrae, redattore dell'Economist, ipotizzava questo scenario prossimo venturo:
La prospettiva è, dopo tutto, che stiamo per entrare in un'epoca in cui qualunque sempliciotto seduto a un terminale di computer in un laboratorio, all'ufficio, in una biblioteca pubblica o a casa sua potrà aprirsi la strada fra montagne incredibilmente accresciute d'informazione contenute in enormi banche di dati, con poteri meccanici di concentrazione e di calcolo che eccederanno di decine di migliaia di volte quelle che sono mai state accessibili al cervello umano, sia pure di un Einstein.
Appena dieci anni dopo, il settimanale Time segnalava l'avvento dell'era prevista da Macrae proclamando "Uomo dell'anno" il personal computer. La redazione della rivista difendeva la sua scelta citando la corsa dei consumatori all'acquisto di piccoli elaboratori domestici e affermando che «l'America e, in una prospettiva più ampia, il mondo intero non saranno più come prima». […]
Poiché l'evoluzione della tecnica è molto più rapida dell'evoluzione della specie, la nostra capacità naturale di elaborare l'informazione rischia con tutta probabilità di diventare sempre più insufficiente a maneggiare il sovraccarico di cambiamenti, scelte e novità che è caratteristico della vita moderna. Sempre più spesso ci troveremo nella posizione degli animali inferiori, dotati di un apparato mentale che non è attrezzato per far fronte a tutto l'ambiente esterno, così ricco e intricato. A differenza degli animali, i cui poteri cognitivi sono da sempre relativamente insufficienti, noi abbiamo creato questa nostra insufficienza costruendo un mondo di una complessità radicalmente maggiore, ma le conseguenze sono le stesse: quando dovremo prendere una decisione, potremo sempre più di rado permetterci il lusso di condurre un'analisi ragionata nella situazione nel suo complesso, ma dovremo ripiegare sempre di più su una prospettiva più limitata che tiene conto di un unico aspetto, solitamente attendibile».
Leggi anche #029 | La fine della cultura di Eric J. Hobsbawm.
Acquista il libro su Amazon. | Torna al Blog di DW. | Home. | Manifesto. | Disclaimer sulle citazioni.