«In Le lieutenant-colonel de Maumort di Roger Martin du Gard, Alain dice che la prima regola – la chiama la regola delle regole – è l'arte di mettere in discussione ciò che generalmente piace. Noterai che descrivo tale atteggiamento come un'«arte»: non è così facile porsi come una persona che diffida, in linea di principio o forse per presunzione, del gusto della maggioranza; potrebbe anche essere snobismo o freddezza. E comunque, si scoprirà molto spesso che gli uomini sono profondamente attaccati alle illusioni e ai pregiudizi, e non sono solo le cupe vittime del dogma e dell'ortodossia. Se per caso ti è capitato di discutere con un credente, avrai notato come costui metta in gioco la propria autostima e il proprio orgoglio, e come tu gli stia in realtà chiedendo di rinunciare a qualcosa di più che non soltanto al punto in questione. La stessa cosa si può dire dei patrioti viscerali, degli ammiratori della monarchia e dell'aristocrazia. La devozione a una causa è una forza potente nelle faccende umane; non servirà a nulla trattare da servo mentale un individuo convinto che la propria sudditanza sia onorevole e volontaria. [...]
Non ho quindi perorazioni o squilli di tromba con cui chiudere. Guardati dall'irrazionale, per quanto seduttivo. Sta' all'erta di fronte al «trascendente» e a tutti coloro che ti invitano ad assoggettarti o ad annullarti. Diffida della compassione; preferisci la dignità per te e per gli altri. Non aver paura di essere considerato arrogante o egoista. Immaginati tutti gli esperti come dei mammiferi. Non essere mai spettatore dell'ingiustizia o della stupidità. Cerca la discussione e la disputa per il piacere che ti dànno; la tomba ti offrirà un sacco di tempo per tacere. Sospetta delle tue stesse ragioni, e di qualsiasi scusa. Non vivere per gli altri più di quanto ti puoi attendere che gli altri vivano per te.
Ti saluto con alcune parole di György Konrád, il dissidente ungherese che mantenne la propria integrità attraverso tempi crepuscolari e che sopravvisse ai suoi persecutori scrivendo Antipolitika e Il perdente, e molti altri saggi e opere di fantasia (quando, dopo l'emancipazione del suo paese e della sua società, vennero da lui per offrirgli la presidenza, disse: «No, grazie»). Ecco cosa scrisse nel 1987, quando l'alba sembrava remota:
Abbi una vita anziché una carriera. Mettiti sotto il riparo del buon gusto. La libertà vissuta ti compenserà di alcune perdite [...]. Se non ti piace lo stile degli altri, coltivane uno tuo. Cerca di conoscere i trucchi della riproduzione, sii editore di te stesso anche nella conversazione, e allora la gioia del lavoro potrà riempire le tue giornate.
Che possa essere così per te, e tieni asciutte le polveri per le battaglie che hai di fronte, e impara a riconoscerle e a cogliere il loro momento».
Christopher Hitchens, Consigli a un giovane ribelle, 2001 (Einaudi, trad. M. Marchetti).
Mettere in discussione ciò che piace alla maggioranza non è un esercizio di snobismo: è un’arte, e come tutte le arti richiede disciplina. Non basta dire “non sono d’accordo”: bisogna capire perché, e accettare che ogni convinzione – nostra o altrui – è intrecciata con orgoglio, identità, appartenenza. Per questo discutere non è mai neutro: tocca nervi scoperti, smuove fondamenta.
Hitchens non offre consolazioni. Invita a diffidare dell’irrazionale, a sospettare delle proprie ragioni, a non cedere alla tentazione di vivere per compiacere. Non è un inno alla solitudine, ma alla responsabilità: scegliere la libertà significa rinunciare a scorciatoie, accettare il peso del dubbio, coltivare il gusto della disputa.
Abbi una vita anziché una carriera, scrive citando Konrád. Non è un invito al disimpegno, ma a non confondere il successo con il senso. Il lavoro può dare gioia, ma solo se non diventa gabbia. La vera ribellione non è urlare più forte: è pensare con la propria testa, anche quando costa caro.
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