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#017 | Il bambino perduto e ritrovato di Alba Marcoli

25-01-2025 09:00

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#017 | Il bambino perduto e ritrovato di Alba Marcoli

Nessuno gli chiedeva di essere diverso da se stesso e lui, potendo essere fedele al suo progetto, poté scoprire e coltivare tutte le sue potenzialità.

«C'è un terreno che precede la nascita di ogni bambino: è quello dove il suo alberello affonderà le radici. È un terreno in cui va a convergere il patrimonio storico ereditato attraverso le varie generazioni da quella famiglia fino a quello più recente ereditato da genitori, nonni, bisnonni con le loro singole storie. Se in queste ultime il bambino avverte che ci sono dei «buchi» da colmare o dei vuoti da riempire, è possibile che faccia tutto quello che può per cercare di farlo lui. Ma le risorse che impiegherà in questo sforzo utopistico e inutile (nessun bambino è in grado di riempire i buchi di una storia altrui) saranno sottratte al suo progetto di crescita, che ne risulterà così impoverito.

Un esempio classico ne possono essere gli studi. A volte dietro a un fallimento scolastico si possono trovare delle aspettative di un genitore che sono in gran parte destinate a lenire una sua frustrazione personale infantile. «Mio padre ha sempre rimpianto di non aver potuto studiare e ha fatto sacrifici enormi per darmi il meglio di tutto» ho sentito raccontare qualche volta. «Mi ha anche fatto frequentare una scuola privata costosissima dove andavano le figlie delle famiglie più importanti della città. Certo lui non immaginava che per me è stata una delle esperienze più umilianti e mortificanti della mia vita. Le mie compagne avevano abiti da boutique, persone di servizio, a volte l'autista che le veniva a prendere a scuola in macchina, delle case bellissime e andavano in vacanza in posti meravigliosi. Io mi sentivo avvilita, mortificata, diversa dalle altre, mi vergognavo a parlare della mia vita e sono cresciuta con la sensazione di non valere proprio niente. Ho rimpianto mille volte di non essere potuta andare alla scuola di quartiere. Lì almeno avrei potuto avere delle amiche e le avrei potute invitare a casa mia, mentre nella scuola dove andavo mi sarei sprofondata sotto terra alla sola idea che le mie compagne potessero vedere com'era la mia casa!».

Un altro esempio di queste aspettative così centrate non sul figlio, ma sulle proprie ferite, credo possa essere quello dei genitori che, a torto o a ragione (ma sicuramente a ragione, dal loro vissuto), pensano di aver subito delle ingiustizie nella vita e di essere stati privati di cose a cui credevano di aver diritto. Il rischio che i bambini che nasceranno in quella famiglia potranno correre (anche se per fortuna questo non è così automatico) sarà quello allora di ritenere i propri genitori delle vittime da vendicare.

Ma un bambino che dedica le proprie energie vitali a riparare un torto vero o presunto (la differenza è irrilevante perché il bambino ci crede in ogni caso, esattamente come i suoi genitori) subito dal papà o dalla mamma è anche lui un bambino destinato a soffrire molto di più nella vita perché ha lui stesso subito un torto: quello di essere privato di buona parte delle energie che gli servono per crescere per metterle a disposizione del ruolo di «piccolo vendicatore» (come è stato acutamente definito da Charmet).

Ecco perché quello delle aspettative che in realtà sono destinate a riparare qualche vecchia sofferenza di noi adulti mi sembra sia uno dei terreni più fertili perché possiamo essere noi ad occuparci di queste antiche ferite, senza delegarle ai bambini che amiamo e ci amano, imprigionandoli così senza che si possano difendere in un problema che non è il loro.

 

La storia del viandante

 

Una volta un viandante doveva partire per un viaggio. «Mi piacerebbe poter scegliere il luogo in cui vivere» si disse prima di partire. «Andrò a consultare il Mago dei Sogni per chiedergli di farmeli visitare tutti in sogno prima di sceglierne uno!» E così andò dal Mago dei Sogni che però gli disse: «In un solo sogno non posso fartene visitare più di sei. Decidi tu se ti va bene!». Il viandante ci pensò un poco e poi accettò. Fu così che quando giunse l'ora del sonno il Mago lo fece gentilmente scivolare dentro un sogno e il nostro viandante cominciò il suo viaggio. Si alzò di mattina presto, raccolse le sue cose e parti. Cammina, cammina, cammina, arrivò finalmente a un paese. All'ingresso c'era un cartello che diceva: «Città del Benvenuto. Altitudine: 50 metri sul livello del mare». Il viandante entrò e tutti gli abitanti arrivarono a fargli festa. Ognuno di loro gli portò un regalo, ma nessuno gli chiese che cosa gli servisse veramente: ognuno lo sapeva già senza bisogno di domandarglielo, perché se l'era chiesto per tanto tempo nella sua testa mentre l'aspettava.

Portarono così tutti il regalo che «loro» pensavano fosse utile e lui si ritrovò molto contento, anche se si accorse con l'andare del tempo che quando lui desiderava davvero qualcosa non riusciva nemmeno più a chiederla, visto che era già così sommerso da regali; cosicché alla fine perse anche i desideri, che invece erano proprio i suoi, solo e soltanto i suoi.

Però, siccome il nostro viandante era una persona molto bene educata, per non ferire i visitatori che gli dimostravano la loro simpatia fece finta di niente e ringraziò tutti. Visitata la Città del Benvenuto, ripartì dunque per il suo viaggio.

Cammina, cammina, cammina, arrivò finalmente a un'altra città. Il cartello diceva: «Città dell'Ascolto Difficile. Altitudine: 150 metri sul livello del mare». Il viandante entrò tutto speranzoso; qui avrebbe certamente trovato chi gli chiedesse che cosa lui cercava. E infatti fu proprio così. Tutti gli abitanti vennero a chiederglielo e lui rispose a tutti, ma immaginatevi quale fu la sua sorpresa quando si accorse che in realtà nessuno l'ascoltava.

Tutti gli abitanti infatti gli lasciavano il tempo per rispondere, ma dopo ogni discorso riprendevano esattamente da dove loro si erano fermati, come se le parole del viandante non fossero mai arrivate veramente. Immaginatevi quindi la sua delusione. Riprese il bastone col suo fardello e ripartì per continuare il viaggio.

Cammina, cammina, cammina, arrivò infine ad un'altra città. Sul cartello c'era scritto: «Città delle Parole. Altitudine: 1 metro sul livello del mare». Anche qui fu accolto con grandi feste, balli e canti, ma ben presto capì perché la città si chiamava così.

Tutti quelli che incontrava sul suo cammino gli insegnavano quanto bisognasse essere responsabili per vivere lì; bisognava fare questo, quello e quell'altro ancora. Il viandante non capiva bene perché tutti gli dovessero insegnare con le parole. Lui era abituato a imparare dai fatti, non dalle parole, ma ben presto si rese conto che agli abitanti di quella città occorrevano proprio le parole per insegnare, perché tante volte non riuscivano a farlo con i fatti e tanto più le dovevano usare quanto meno ci riuscivano in altri modi.

Insomma, il povero viandante alla fine fu così sommerso da tutte queste responsabilità che l'unica cosa che gli rimase da fare fu una fuga precipitosa, per cui se ne andò.

Cammina, cammina, cammina, ecco che finalmente arrivò a un'altra città. Sul cartello c'era scritto: «Città delle Aspettative. Altitudine: 2500 metri sul livello del mare».

«Qui finalmente mi riposerò» pensò tra sé il viandante che era molto stanco, perché per arrivare fin lassù aveva dovuto scalare una montagna altissima. «Mi sembra proprio un bel posto per fermarmi pensò e si mise alla ricerca di una casa in cui stare».

Gli abitanti della prima a cui bussò l'accolsero a braccia aperte e gli dissero: «Siamo proprio tanto, tanto contenti di accoglierti qui con noi» e agli inizi fu proprio così anche per lui. Ma con l'andare del tempo il nostro viandante si accorse che tutte le energie di quella casa erano rivolte a cercare di vincere una gara che la famiglia aspettava da tanto tempo. La gara consisteva nell'arrivare primo a una corsa e forse lui, che era così fresco e giovane, finalmente ci sarebbe riuscito.

Al viandante piaceva molto quella casa e anche i suoi abitanti e ci sarebbe stato volentieri, ma per quanto lui si fosse allenato nella vita, nelle gare di corsa non era mai arrivato primo. La sola idea di doverlo fare gli metteva una tale ansia addosso che poi finiva per arrivare sempre ultimo.

E fu così che il viandante, quatto quatto, lasciò la prima casa anche se con gran dispiacere.

La seconda a cui bussò era popolata da eccellenti parlatori. Sapevano tutti tante lingue diverse, ma nessuno conosceva il cinese. Appena il viandante arrivò l'accolsero a braccia aperte, ma ben presto gli dissero: «Guarda, a noi manca solo uno che parli il cinese, poi possiamo dire di conoscere tutte le lingue del mondo. Il cinese lo dovresti imparare tu!».

Figuratevi il povero viandante. La cosa gli mise addosso una tale ansia che invece di parlare in cinese non riuscì più a spiccicare parola in nessuna lingua e divenne completamente muto, anche se in altre circostanze lui era persino dotato per le lingue е саpacissimo di impararle.

Fu così che, seppur con gran dispiacere, dovette lasciare anche la seconda casa che pure gli piaceva moltissimo. Aveva una gran paura che se non avesse imparato il cinese, i suoi abitanti non l'avrebbero amato più e questa cosa gli era proprio insopportabile, preferiva piuttosto scappare.

La terza casa a cui bussò era popolata da bravissime persone che però avevano tutte molti conti in sospeso col mondo, perché sentivano che era stato ingiusto nei loro confronti.

Appena lo videro l'accolsero anche loro a braccia aperte e con molta simpatia. «Come siamo contenti che tu sia arrivato da noi!» gli dissero. «Con te in casa saremo tutti più forti e potremo rifarci di quello che ci è capitato!»

Anche qui il viandante fu così conquistato dalle loro attenzioni e dal loro amore che agli inizi fece di tutto per soddisfare le loro esigenze. Poi però a poco a poco si rese conto, purtroppo, che lui non poteva tornare indietro nel tempo per vincere le battaglie che gli abitanti della casa avevano perso, o per condurre delle guerre col mondo che non erano sue e che lui a maggior ragione non avrebbe potuto che perdere clamorosamente. E fu così che, seppure con grande tristezza, lasciò anche quella casa e continuò altrove la sua ricerca.

Il nostro viandante però diventava sempre più insicuro e si sentiva sempre più impotente. Possibile che tutte le cose che gli venivano richieste dalle persone che l'accoglievano con simpatia e amore lui non riuscisse a farle? Eppure, nelle altre circostanze gli sembrava di essere anche lui come gli altri, né più né meno, forse solo un po' meno bravo e intraprendente. E fu così che decise per un po' di abbandonare la sua ricerca.

Uscito che fu dalla Città delle Aspettative, decise di continuare a salire sulla montagna per ridiscendere dall'altra parte, ma una volta arrivato in cima, mentre si godeva lo spettacolo dall'alto, ecco che all'improvviso si accorse di qualcosa che pendeva da una nuvola.

Si avvicinò piano piano e immaginatevi quale fu la sua sorpresa quando si rese conto che era una scala di corda che saliva verso il cielo.

Il viandante ci pensò un poco, poi la curiosità prevalse e fu così che decise di salire per la scala. Sali, sali, sali, arrivò dapprima a una nuvola disabitata, poi a una seconda ancora, ma arrivato alla terza trovò un gran cartello che diceva: «Città del Paradiso Perduto. Altitudine: 1 chilometro sul livello della nuvola più bassa». Figuratevi la contentezza del nostro viandante. «Forse è questa finalmente la città che cercavo» si disse fra sé e bussò alla prima casa. Appena gli abitanti lo videro l'accolsero a braccia aperte, poi chiamarono vicini, parenti e conoscenti e fecero tutti una gran festa. E così lui divenne il Re della città. La gente accorreva al suo minimo cenno, tutti facevano le cose per lui, era un vero e proprio paradiso. «Non sono mai stato così bene in vita mia» si ripeteva soddisfatto fra sé mentre osservava tutto questo armeggiare intorno a lui. Ma ben presto il nostro viandante ebbe un'amara sorpresa anche qui. A furia di non fare più niente perché qualcun altro lo faceva al posto suo, scoprì un giorno che non solo non riusciva assolutamente a imparare delle cose nuove, ma a poco a poco stava dimenticando anche quelle vecchie che conosceva già quando era arrivato lì. Persino le sue gambe, che lo sostenevano così bene prima, adesso che tutti lo portavano in giro o in carrozza o in portantina si erano ormai disabituate a camminare. «Sta a vedere che qui alla fine non saprò più nemmeno parlare, né camminare, né pensare perché tutti si sentono autorizzati a farlo al posto mio, per farmi piacere!» si disse un giorno spaventato. Raccolse quel poco di coraggio che gli rimaneva e si precipitò giù nottetempo dalla scala. Arrivato che fu di nuovo sulla terra cominciò a scendere dalla montagna e durante quel viaggio incontrò un vecchio eremita, scorbutico e silenzioso, che se ne stava lassù per i fatti suoi.

«È tutta colpa mia» gli disse alla fine, pieno di sensi di colpa, dopo che gli ebbe raccontato la sua storia. «Sono io che non sono riuscito a fare ciò che dovevo. Eppure loro hanno fatto tanto, proprio tanto per il mio bene!»

«Forse allora non era proprio quello il tuo bene, st tu ti sei sentito poi ogni volta così triste e impotente da non farcela più ad andare avanti» osservò allora il vecchio. «Magari era invece solo l'idea che loro avevano del tuo bene. Prova a continuare il tuo viaggio; prima o poi troverai quello che cerchi!» E fu così che il nostro viandante continuò il suo viaggio. Scese dalla montagna e un giorno si ritrovò in pianura in mezzo a un gruppetto di case. Non era una città e nemmeno un paese, per cui non c'era nessun cartello con un nome. Bussò a una casa per chiedere rifugio e fu accolto con simpatia e semplicità. Ognuno era affaccendato in qualcosa ed era in pace con quello che faceva. Gli fu dato da mangiare e da bere e gli fu preparato un letto caldo in cui dormire.

«Raccontaci del tuo viaggio!» gli dissero gli abitanti della casa la sera davanti al fuoco. «È bello ascoltare dei pensieri diversi dai nostri!».

E fu così che il viandante rimase nella loro casa prima un giorno e poi un altro e poi altri ancora. E insieme a loro coltivò la terra, seminò e raccolse i suoi prodotti, sudò e faticò dalla mattina alla sera, ma in pace con se stesso e il mondo. Nessuno gli chiedeva di essere diverso da se stesso e lui, potendo essere fedele al suo progetto, poté scoprire e coltivare tutte le sue potenzialità. E quando il Mago dei Sogni venne a risvegliarlo, il nostro viandante gli disse: «Ho scoperto dove mi piacerebbe vivere. È un paese così piccolo che non ha neanche un nome, ma ci si sta proprio bene! Aiuta a crescere!». «Esattamente come fa il sole» disse allora il Mago dei Sogni «con ogni seme che germoglia, ognuno alla propria velocità e seguendo il proprio progetto che è suo e soltanto suo, scritto dalla vita dentro di lui».

 

Alba Marcoli, Il bambino perduto e ritrovato, 1999 (Mondadori).

 

Guardando indietro, si nota quante energie vengono spese per colmare vuoti che non appartengono alla propria storia. Si cerca di riparare ferite dei genitori, convinti che questo possa garantire amore e approvazione. In realtà, si rinuncia al proprio progetto di crescita per diventare ciò che gli altri desiderano.

Quando l’amore sembra legato alla condizione di essere ciò che gli altri si aspettano, i desideri personali vengono nascosti fino a scomparire. È una prigione silenziosa che soffoca la libertà di crescere secondo la propria natura. Nessun bambino dovrebbe portare il peso delle frustrazioni degli adulti. Il compito essenziale è riconoscere queste catene e spezzarle, per non ripeterle con chi verrà dopo.

 

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